Il presupposto dell’apostolato ecumenico è la conoscenza vicendevole tra le varie comunità cristiane.
La Divina Liturgia detta di S. Giovanni Crisostomo, insieme a quella attribuita a S. Basilio, in uso nella Chiesa bizantina, costituisce non solo un testo di preghiera sacrificale, prezioso per la sua antichità, ma anche un efficace veicolo della conoscenza della Ecumene bizantina di cui ci svela la vita e l’anima. Essa, infatti rappresenta e rinnova la duplice manifestazione di Dio al mondo con la discesa del Verbo sulla terra, prima, per operarvi la redenzione e con l’ascesa al cielo per attuare la Pentecoste, preludio e inizio del suo ritorno con gloria, poi, per stabilire nello stato glorioso il pleroma ecclesiale (Cristo e noi).
Per il tramite della Santa Liturgia, l’umanità, per chiamata e per diritto, diventa partecipe della Liturgia corale dossologico-trinitaria celebrata dalla Chiesa Una, degli angeli e degli uomini, con a capo Cristo-Pontefice.
Da tutto il testo si rileva che una è la chiamata, una la Chiesa, una la liturgia, uno il sacrificio, una la dossologia Trinitaria che, sebbene celebrata nella natura sensibile, è essenzialmente quella medesima che già viene celebrata nel secolo futuro cioè nel cielo e che, essendo compiuta nella gloria divina, è sovratemporale e sovraspaziale e sovrannumerica, cioè sempre in atto e universale.
Gli uomini, pertanto, deposta ogni sollecitudine mondana e nel silenzio di ogni carne mortale e nell’assenza di ogni pensiero terreno, sono, fin dal presente secolo, concelebranti con le schiere angeliche e con il Cristo Capo, nel dare gloria e onore e adorazione al Santo che riposa in mezzo ai santi: “Noi misticamente rappresentiamo i Cherubini e alla vivificante Trinità cantiamo l’inno tre volte Santo” (Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, Inno cherubico). “Adesso le stesse potenze celesti insieme con noi adorano” (Liturgia dei Presantificati) poichè “il Re dei re si avanza… preceduto dai cori degli angeli…” (Liturgia dei Sabato Santo).
Questa liturgia corale umano- angelica del cielo intanto è attuabile anche sulla terra in quanto lo Spirito Santo estende alla Chiesa-corpo e le fa rivivere il mistero del discese-ascese della Chiesa- capo, Cristo, cioè l’insieme della economia storico-salvifica divina. La nostra liturgia celebra perciò con accenti di gioia tutti i fondamentali misteri:
Trinitario: del Padre il beneplacito, del Figlio la redenzione, dello Spirito Santo la venuta per compiere e distribuire e partecipare agli uomini quel beneplacito e quella redenzione;
Cristologico-soteriologico: la duplice venuta del Verbo, nella carne e nella gloria, quale mediatore e esecutore dell’eterno e universale disegno creativo-salvifico di Dio;
Pneumatologico – pentecostale: presenza viva dello Spirito Santo la cui missione è di coronare la prima venuta del Cristo Salvatore e di attuarne, in caparra la seconda venuta, allo stato glorioso;
Ecclesiale – escatologico: Chiesa condotta progressivamente dallo Spirito Santo alla maturazione della gloria e alla completezza del pleroma;
Mariale-teologico: la Madonna esemplare compiuto della Chiesa quale primizia della finale palingenesi dell’umanità che sarà a sua volta, restituita alla primitiva incorruttibilità e immortalità, a causa della unione del divino e dell’umano avvenuta nella Vergine per mezzo della Vergine-Madre. Questo mistero nascosto ai secoli (Col. 1, 26) e sconosciuto agli angeli si è, infatti manifestato (rivelato e attuato), per mezzo della Madre di Dio (Theotokion, tono 4) .
L’accentuato timbro mariano della Liturgia bizantina non è dovuto solo alla pietà degli orientali, ma è giustificato dal ruolo ontologico di mediatrice che le è riservato nella economia divina e che non è circoscritto solo al valore della sua preghiera e dei suoi meriti e della sua santità personale, ma soprattutto al mistero che in lei si attua (l’unione del divino e dell’umano) e che lei rappresenta (l’umanità restituita allo stato paradisiaco) .
La liturgia bizantina, nella struttura organica dell’insieme e delle singole parti, esprime il drammatico movimento ascensionale della Chiesa verso l’epilogo della parusia, per mezzo del Cristo-primizia, fino al punto di avvolgere la comunità dei fedeli con una piena manifestazione e con una totale partecipazione della divinità, nell’atto e nel momento culminante della unione-comunione eucaristica (thèosis) , vero anticipo ai terrestri della luce dell’Ascensione del Signore Risorto: “Gli presteranno culto e vedranno la sua faccia” (Apoc. 22, 4).
La comunità cristiana passa infatti, dallo iniziale stato di peccato in cui grida Kìrie elèison, alla fede giustificante, alla offerta del sacrificio, alla grazia, alla visione, alla unione, alla lode di Dio apparso: “Abbiamo visto la luce vera, abbiamo ricevuto lo Spirito sopraceleste, abbiamo trovato la fede vera nell’adorazione della Trinità indivisibile che ci ha salvati” (Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, Inno “Idomen to fos”) e ci ha posti sul piano della intercomunicazione diretta e totale dei beni celesti: “Le Cose Sante ai Santi” (Liturgia di S. Giovanni Crisostomo).
La Chiesa per rivivere ed esprimere tali realtà nascoste ai sensi ha istituito la liturgia, facendo ricorso a forme sensibili, il più possibile eloquenti e degne, e dando ai paramenti, ai gesti, alle cerimonie, alle suppellettili alla distribuzione delle parti: sacerdote- diacono-coro-popolo (richiamo, più che al dramma classico greco, i quattro viventi, ai ventiquattro anziani e alle miriadi di angeli dell’Apocalisse), alle forme architettoniche del tempio e agli elementi iconografico e melodico il preciso carattere funzionale di segni rappresentativi del mistero della incarnazione e del processo di ritorno dell’uomo allo stato di immagine e di liturgo di Dio.
Il simbolismo dominante in tutta l’azione liturgica bizantina, potrebbe sembrare frutto del genio fantasioso e fastoso degli orientali o dell’influsso dell’ambiente imperiale o comunque iniziativa di singoli teologi o vescovi o comunità. Esso è invece, opera della chiesa ed è di carattere normativo perché risponde al canone di dare espressione alle realtà teologiche della gloria parusiaca e della maestà della liturgia celeste di cui quella ecclesiale terrestre è immagine e somiglianza, in virtù della presenza misteriale di Cristo: “Signore… guarda dal tuo santo abitacolo e dal trono di gloria del tuo regno… tu che… sei anche qui con noi invisibilmente… (Liturgia di S. Giovanni Crisostomo).
Lo stesso imperatore Giustiniano, al dire dello storico Procopio, passava le notti, in compagnia dei più dotti teologi, a scrutare le Scritture i cui sensi vennero trasfusi nella santa Liturgia e perfino nelle linee del tempio di S. Sofia che rimane tipico esemplare di espressione architettonica della teologia liturgica.
La Liturgia bizantina per il suo denso contenuto dogmatico appare quasi tunica tessuta tutta d’un pezzo (Gv. 19, 23) e una epitome della fede nella Trinità e Unità di Dio, nei misteri della Incarnazione e Redenzione, della Madre di Dio, della Chiesa, della Comunione dei Santi, della consumazione parusiaca, della unità pleromatica dei viventi, angeli e uomini, nel Cristo immagine del pleroma trinitario. Un siffatto contenuto dogmatico espresso, per giunta, nella lingua propria di ciascuna comunità nazionale e con la diretta partecipazione del popolo all’azione sacra, ha consentito alla Liturgia di compiere il miracolo storico della salvaguardia della fede e della vita ecclesiale della cristianità orientale oppressa, nel corso dei secoli, da popoli e regimi non cristiani e insidiata dalle ricorrenti eresie.
A questo proposito, giova notare che una traccia profonda del travaglio dogmatico e storico-sociale della cristianità di Oriente è il frequente pensiero della pace comunitaria nella liturgia, fino a costituirne uno dei caratteri dominanti. Il termine pace vi ricorre quasi quaranta volte. La liturgia bizantina è testo canonico della lex orandi della Chiesa universale e perciò è anche documento della unione di fatto della Chiesa orientale e occidentale.
È merito della Liturgia se questa unione non è venuta mai meno, malgrado gli elementi storici e giuridici ecc. della millenaria separazione. Essa è anche documento autentico della lex credendi della Chiesa degli Apostoli, dei Padri e dei Concili e, come tale, postula ed è ponte della stessa unione che chiameremo canonica. Per questo motivo la separazione è, oltretutto, antiliturgica e ferisce la santa Tradizione. La Liturgia è, pertanto, il terreno d’incontro tra Giuseppe e i suoi fratelli (Giovanni XXIII) eredi di una originaria comune ecclesiologia in cui la parte attiva, nella difesa e nella diffusione del cristianesimo, è comune alla sapienza patristica della cui tradizione è portatore l’Oriente e al sigillo del criterio di Pietro.
Nella liturgia sono fuse e compendiate la luce della verità (Oriente) e il canone della fede (Pietro) poiché essa racchiude tutto l’arco dei misteri cristiani dalla esinanizione del Verbo (Kènosi) alla Riconciliazione (Eirène) alla Gloria (Dòxa) cui la Chiesa tutta unita, con una sola bocca e un sol cuore, dà la risposta corale eterna: AMIN
La venerazione delle sante icone (dal libro La tradizione bizantina di Rennis pag. 93)
Il Concilio dell’860 afferma “ciò che il Vangelo ci dice con la parola. L’icona ce lo annuncia con i colori e ce lo rende presente”. L’icona ha un valore teofanico e, come tale, trascende il piano emotivo, del “gusto” artistico e si presenta nella sua piena “arditità” ieratica. Essa è la visione dell’invisibile. L’iconografo, infatti, lavora su uno spazio celeste senza tener conto della terza dimensione. Non vi è prospettiva; non vi è profondità. Spazio e tempo non esistono perché ciò che l’icona rappresenta è fuori da queste due dimensioni prettamente trascendentali. L’icona è immagine dell’eternità: “Essa rappresenta ogni scena in forma “aperta” e mostra che tutto è sottomesso al tutto e che tutto è immanente a tutto”.
L’icona raffigura il corpo del santo, trasformato dalla grazia, liberato da tutte le passioni terrene perché egli stesso è diventato “icona”(dal greco eikòn = somiglianza) vivente di Dio. Ecco perché nelle chiese bizantine vi è la mancanza delle statue “per indicare la vittoria dello spirito “senza spessore” sulle tendenze malvagie della corporeità”.
Per San Giovanni damasceo ogni icona riceve la grazia dello Spirito Santo.
Queste brevi considerazioni sull’icona sono i risultati delle lotte sanguinose svoltesi in Oriente fra i secoli VIII-IX. L’imperatore Leone III l’Isaurico sarà la causa che spaccherà l’impero in due fazioni: quella degli iconoclàsti (dal greco = spezzatori di icone) a quella degli iconòfili (dal greco = difensori di icone). Dietro queste lotte non mancheranno le strumentalizzazioni politiche e gli interessi economici. Sotto Costantino V Copronimo, 318 vescovi decidono, nel 752, la condanna dell’uso delle sante icone. È l’inizio di una violenza inaudita contro i fedeli, i monaci (fatti allontanare o uccisi). Un ricco e prezioso patrimonio artistico iconografico andrà perduto o bruciato. Soltanto quasi circa dopo un secolo di lotte, l’imperatrice Teodora, nel 842, favorirà il ripristino del culto delle sante icone.
La motivazione profonda degli iconoclasti si basava sul fatto che non è possibile conoscere Dio attraverso rappresentazioni reali, ritenute nell’antico Testamento, forme di idolatria. Teodoro studita, uno dei più tenaci difensori della venerazione delle icone, replicherà che l’icona non rappresenta una delle nature di Dio, quella divina o umana (si cadrebbe nel monofisismo; essa rivela il Dio-uomo, dal momento in cui Dio si è degnato farsi carne. Sia Teodoro che Giovanni damasceo, l’altro grande difensore delle sante icone, affermano che “l’immagine, essenzialmente distinta dall’originale, deve essere oggetto di venerazione relativa, mentre l’adorazione (latrèia) è riservata solo a Dio e non può in nessun modo essere indirizzata all’immagine. La Madre di Dio e i santi non possono essere adorati, ma solo venerati”. L’icona, dunque, in modo particolare quella che rappresenta il Signore, è:
- Theorìa (contemplazione dell’Invisibile);
- Anàmnesi (ricordo delle realtà salvifiche tratte dal Vangelo) ;
- Dossologia (contemplazione, in essa, della futura gloria di Dio);
- Illuminazione, rappresentata dall’oro delle icone, in cui si contempla la Luce vera che è Cristo-Signore.